TOSSICITÀ DEI FUNGHI

Quando abbiamo parlato di commestibilità, abbiamo evidenziato come il rischio massimo al quale si va incontro (eccetto i casi previsti nelle avvertenze svolte) è quello del rifiuto per disgusto del piatto preparato (rischio anche questo, per certi versi, grave perché avremmo distratto e distrutto senza scopo, neppur edonistico, entità utili se lasciate in loco).

Quando, viceversa, si entra nel campo della tossicità, il rischio è di maggiore consistenza poiché (e non di rado) si può giungere fino alle estreme conseguenze.
Proprio per questo, prima ancora di addentrarci, seppur solo in superficie, nella materia, preme porre l’accento sul concetto di prevenzione come elemento cardine per evitare sorprese, rischi ed esiti spiacevoli, anche letali. Nel caso in discorso l’unica prevenzione che si può e si deve esercitare è quella che coniuga conoscenza, attenzione e consapevolezza dei propri limiti conoscitivi.
Non vi sono altri sistemi per evitare i rischi: non certo la sperimentazione perché, nel caso dei funghi tossici, essa può avere un senso solo se si basa su una conoscenza approfondita e consapevole, e neppure gli accorgimenti tramandati da credenze popolari che sono, non solo inutili, ma molto pericolosi. Non ci sono dunque scappatoie; vediamo più da vicino quali sono i criteri preventivi per non incorrere in approssimazioni.

Il primo elemento è la conoscenza: non quella che si basa su abitudini di raccolta per aspetto complessivo, per zona, per periodo, magari ricalcando percorsi di prelievo tradizionale (non leggiamo, infatti, che raccoglitori abituali incorrono in spiacevoli incidenti?) e neppure quella che mutua le sue certezze solo da una comparazione con le immagini di libri divulgativi (utili solo se usati per un approccio o per un aiuto determinativo) o, peggio ancora, dalla frequentazione occasionale di mostre micologiche (che, con tutta evidenza, hanno altri scopi).
Ma è necessaria la conoscenza che deriva dall’attenzione per il singolo carpoforo esaminato in tutte le caratteristiche che lo compongono e sottoposto ad analisi la più attenta possibile al fine di determinare con esattezza il Genere e la specie, perché su questo processo determinativo si fondi il giudizio di commestibilità o di tossicità. Questo sta a significare che tale giudizio viene dopo, rispetto alla determinazione della specie e che il giudizio stesso dovrà essere rilevato da fonti bibliografiche autorevoli e aggiornate.
Come abbiamo visto, la conoscenza deve essere la più puntigliosa e la più prudente possibile; è meglio esagerare la prudenza piuttosto che rischiare di incorrere in grossolani errori.
Entrando più da vicino nel merito della materia è opportuno introdurre un ulteriore criterio di prudenza; non tutto è scontato nella tossicologia dei funghi; sorprese, anche clamorose, sono sempre possibili; si può citare il caso di Hygrocybe crocea s.l. (= H. acutoconica?) che considerata sempre commestibile ha evidenziato in raccolte nel Sud Est asiatico e, secondo fonti attendibili, più recentemente anche nelle campagne francesi, principi tossici anche gravissimi; difficile è stabilire se si tratti di due specie differenti o di cause accidentali, certo è che la nostra conoscenza in campo micotossicologico è ancora lontana dall’essere esaustiva.
Fatte queste ultime note di attenzione possiamo incominciare il ragionamento sulla tossicità come elemento caratteristico dividendo i principi tossici in due grandi categorie:

* principi termolabili (eliminabili)
* principi termostabili (ineliminabili)

Dei primi, in una certa misura, abbiamo già detto nel capitolo sulla commestibilità consigliando di attenersi solo al consumo di funghi ben cotti.

Si tratta di veleni termolabili, cioè eliminabili col calore; si ottiene tale risultato quando la temperatura raggiunge i 70 °C circa e la mantiene per alcuni minuti. Siamo in presenza di principi tossici la cui intensità è molto variabile e, in relazione, il grado di disturbo causato è anch’esso soggetto a variazioni notevoli; la pericolosità è però relativa essendo sufficiente una cottura completa (minimo 15 minuti) per scongiurare pericoli. Tra i funghi che sono portatori di tali principi ricordiamo: Amanita rubescens, le Amanita del gruppo vaginata (Sottogenere Amanitopsis), Armillaria mellea s.l., Lepista nuda, Clitocybe nebularis, Russula olivacea (e verosimilmente altre congeneri del medesimo gruppo), i Boletus del gruppo luridus, le Morchella, le Helvella, le Peziza etc.
Ben più pericolosi sono i principi tossici della seconda categoria; infatti qualsiasi intervento operiamo sul fungo, non modifichiamo le sue caratteristiche di tossicità; non la bollitura, né l’essiccazione, né altri interventi. Anche in questo caso abbiamo varie gradazioni di tossicità che vanno da lievi dolenzie a gravi e gravissimi avvelenamenti che possono culminare con la morte. Certamente in molte sindromi la gravità è commisurata alla quantità ingerita, ma in molti casi i principi tossici sono così nocivi che bastano pochi grammi di fungo per produrre esiti disastrosi.
Annotiamo qui, per scrupolo informativo, che non tutti gli esseri viventi reagiscono alle sostanze velenose nello stesso modo; pertanto, ad esempio, una lumaca può cibarsi con dovizia (peso fungino in relazione al peso corporeo) e senza incorrere in problemi di sorta, dei funghi che hanno esiti letali assunti dall’uomo anche in piccole dosi; in questo senso non può essere considerata, neppure lontanamente, prova di non tossicità l’essere un fungo oggetto di attenzione da parte di animali. Nello stesso modo non tutti gli uomini hanno le medesime reazioni, soprattutto in relazione alle condizioni complessive (sano/debilitato).
Ma tornando ai principi termostabili, ovvero ineliminabili anche con prolungata cottura: essi risiedendo nei funghi possono dare adito a due tipi di sindrome: a lunga o a breve latenza.
Al di là dell’intensità dell’avvelenamento è del tutto ovvio che le forme più pericolose sono quelle a lunga latenza perché l’insorgenza ritardata della sintomatologia fa sì che gli interventi curativi si possono praticare quando ormai i principi tossici sono saldamente instaurati e il materiale ingerito è in buona misura già assimilato; di converso, la precocità del sintomo rende possibile, da un lato gli interventi curativi tempestivi e dall’altro la rimozione indotta dell’ingerito non ancora del tutto assimilato. Da quanto detto emerge un concetto importante: la diagnosi precoce è, comunque, un mezzo decisivo per una cura il più possibile efficace. La capacità, da parte dell’intossicato, di descrivere appropriatamente il fungo colpevole dell’avvelenamento è un utile strumento per la cura, così come lo è il recupero di qualsiasi residuo fungino, sia esso crudo, cotto o emesso con vomito che, tempestivamente inviato a un micologo, consentirà di risalire alla/e specie in questione e permetterà di intraprendere l’iter curativo più idoneo.

Testo tratto da Atlante fotografico dei funghi d’Italia vol. 1, edito dal Centro Studi Micologici dell’A.M.B.